CELEBRAZIONE 25 APRILE 2016
JESI
Signor Sindaco; autorità civili,
militari e religiose; associazioni d’arma, combattentistiche e partigiane; amici e
compagni antifascisti di Jesi.
Che
cosa è il 25 Aprile del 1945? A Milano, la sera del 24 Aprile del 1945, il
Cardinale Ildefonso Schuster , rivolge una drammatica domanda a Sandro Pertini,
componente del CLNAL : “ Sono il Vescovo di questa città, che cosa succederà
domani?” Questa è la risposta del futuro settimo Presidente della Repubblica:”
Eminenza, l’orologio della Storia si è messo in movimento!” Se pensiamo che
solo qualche ora dopo, a Genova, un Generale nazista, Meinhold,
si arrenderà all’operaio Remo Scappini,
comandante del CNL di Genova, capiamo che davvero l’orologio della
Storia quel giorno si era messo in movimento.
Eppure,
a distanza di 71 anni, non tutti considerano una festa questa giornata. Anzi,come un fiume carsico ogni tanto ritorna
alla superficie della discussione politica più che storica una banalizzazione,
se non una vera avversione attorno alla Resistenza e ai suoi protagonisti. Politica più che storica
ma B. Croce ci
ricorda che “la storia in Italia è sempre contemporanea“, è un’ arma cioè per la battaglia politica . E l’obbiettivo di
una parte della politica, da decenni, è la Resistenza e le conquiste
democratiche e sociali figlie della
stessa.
Delegittimare
la Resistenza vuol dire
innanzitutto delegittimare il patto
costitutivo nazionale tra le grandi
componenti storiche ed ideali del Paese: la liberale democratica e
risorgimentale, il movimento cattolico popolare e il movimento operaio e
socialista perché ciò ha permesso al popolo italiano di essere, per una volta, protagonista del
proprio destino . E senza quel
protagonismo e senza la Costituzione non
avremmo avuto un Paese civile e democratico che ha permesso una scuola e una sanità pubbliche per tutti,
che ha aperto il cammino delle donne
verso la piena emancipazione, altrimenti molto più faticoso di quanto lo è stato e ancora lo è, che negli anni 60 e 70 ha dato
vita ad una legislazione sociale per affermare la dignità e i diritti personali
e sindacali nei luoghi di lavoro perché i diritti non si fermano, non possono
fermarsi, davanti ai cancelli delle
fabbriche! Una Costituzione che ha
permesso alle autonomie locali di essere il luogo della partecipazione e delle decisioni. Norberto Bobbio nel 1951, quando sembrava che
la guerra fredda minacciasse la tenuta del cosi detto arco costituzionale, sosteneva che la nostra Costituzione, nel suo
ordito giuridico ed istituzionale, è un
“invito permanente al colloquio tra le varie componenti che avevano dato il
loro contributo alla redazione ed alla approvazione della Costituzione
Repubblicana.” Un ordito istituzionale
che valorizza i partiti politici e il loro confronto , che individua nel
Parlamento l’unico luogo dove si rispecchia la volontà popolare, che riconosce i diritti fondamentali delle
minoranze ed anzi ne richiede il fattivo coinvolgimento quando si debbono comporre o eleggere organi a tutela dei i valori fondanti la nostra democratica convivenza come la Corte
Costituzionale e il Presidente della Repubblica.
Dobbiamo
contrastare una lettura riduttiva della Resistenza non solo per riportare la
verità storica e ciò già basterebbe ma per difendere un Paese civile,
democratico, solidale e socialmente avanzato che le generazioni passate e
governi e politici avveduti hanno
costruito con impegno, lotte e sacrifici.
Ovviamente mi astengo da qualsiasi
considerazione riguardante il contenuto
della riforma costituzionale approvata recentemente dal Parlamento ed in attesa
del Referendum confermativo del prossimo ottobre. Ho letto il testo approvato
e ho
ripensato al Presidente
dell’Assemblea Costituente Umberto Terracini il quale, sensibile alle critiche avanzate da più parti sulla qualità letteraria
del testo della Costituzione repubblicana, incaricò Pietro Pancrazi, liberale
ma soprattutto studioso della lingua italiana e Concetto Marchesi, comunista ma
soprattutto accademico e latinista, di rileggersi gli articoli uno ad uno. Il
risultato, secondo Tullio de Mauro, è che quel testo è un monumento in termini
di chiarezza e di sobrietà. Chiarezza e la sobrietà sono qualità espositive da
non rottamare!
Permane,
nella società, una componente culturale che fa da argine alla
piena accettazione della lotta partigiana. Non per niente Piero Gobetti,
intellettuale liberale aperto alle nuove sfide della società del suo tempo e
che chissà quali contributi avrebbe potuto fornire alla cultura italiana se i
fascisti non lo avessero ucciso a soli 25 anni nel 1926, sosterrà che il
fascismo è” l’autobiografia di noi italiani.” E qualche anno dopo, un arguto
uomo di lettere e di cinema come Ennio Flaiano in un amarissimo aforisma affermerà
che “in Italia i fascisti sono una trascurabile maggioranza!”
C’è un substrato culturale che rimanda alla storia
della nostra classe dirigente dove l’istinto di conservazione, la grettezza di un familismo da sempre
dominante, l’individualismo in nome del quale si giustifica persino il non rispetto
delle regole, si uniscono a continue
pulsioni autoritarie e al fastidio per le mediazioni democratiche e
parlamentari. Per questo mondo la
Resistenza è una anomalia, perché segna
nella storia d’Italia una discontinuità analoga a quella del Risorgimento,
altro avvenimento da sempre discusso e non condiviso. Solamente con Garibaldi
migliaia di italiani erano accorsi alle armi senza imposizioni. Entrambi, il Risorgimento e la Resistenza, suggellano il tentativo di promuovere
un mutamento non solo nella forma ma soprattutto nella sostanza delle
istituzioni con la creazione di uno Stato pienamente democratico .
Infatti
lo scrittore Beppe Fenoglio, combattente partigiano monarchico, dirà che la ”
Resistenza è un’esperienza assoluta per il popolo italiano come quasi mai è
successo prima”. Il peccato originale della Resistenza sta nell’aver messo gli
italiani di fronte alle proprie responsabilità , dimostrando quanto sia
pericoloso affidarsi sempre a qualcun altro, sia esso un uomo forte o un
esercito straniero che tanto, prima a poi, ci libererà; un campione dell’italianità corriva e
qualunquista, l’opinionista Guglielmo Giannini, negli stessi giorni nei quali
migliaia di italiani combattevano e morivano nel centro-nord per la libertà di tutti, in una Roma oramai
liberata ma dove in tanti temevano di subire ritorsioni per il loro passato
fascista o troppo acquiescente verso il regime, se ne usciva con queste parole” … noi vogliamo
vivere tranquilli, non vogliamo agitarci permanentemente: vogliamo andare a
teatro, uscire la sera, comprare sigarette, recarci in villeggiatura e
comprarci un abito nuovo”. E’ anche con
questa Italia che la Resistenza si è confrontata .
Erano
gli stessi che dicevano ed ancora dicono che il ruolo della Resistenza è stato
marginale e gli alleati la guerra l’avrebbero vinta ugualmente. La Resistenza
italiana, dati alla mano, è [1]stata
seconda solo a quella jugoslava. Aveva limiti, ha compiuto errori ma dal febbraio del 44 all’aprile del
45 ha occupato quasi tutte le valli alpine e le zone collinari dell’Italia
centrale e settentrionale. Non furono i Partigiani a decidere le sorti della
guerra ma la loro presenza crescente impegnò quattro divisioni tedesche e creò
insicurezza tra gli occupanti. Una strofa di una canzone dei fascisti di Salò
recita:” le donne non ci vogliono più bene perché portiamo la camicia nera.”
Questa accettazione da parte dei fascisti di una causa persa dimostra come la
Resistenza avesse quel consenso popolare che è stato decisivo per la sua
diffusione e il suo successo. Gli scioperi operai del Marzo del 43 e del Marzo
del 44, i primi scioperi nell’Europa nazista, l’attività dei partiti
antifascisti dopo la caduta del regime nel luglio del 43, la formazione delle
prime bande partigiane e la nascita del Comitato di Liberazione nazionale, la costituzione di un nuovo esercito
nazionale hanno permesso al nostro Paese di riacquistare dignità. Il
nostro popolo aveva sollevato la testa ,
voleva essere attore del proprio destino Nell’ agosto del 44, uno dei massimi dirigenti
del SOE, l’organizzazione creata da Churchill per sabotare le linee tedesche,
scriverà al comandate Maurizio, il futuro Presidente del Consiglio Ferruccio
Parri : ” L’Italia ha subito il fascismo. Va bene. Sappiamo benissimo quanto ci è costato in
uomini e in sforzi l’entrata in guerra dell’Italia. Adesso avete avuto la
possibilità di ritrovarvi accanto a quelli a cui l’Italia ha causato cosi gravi
danni. Nessuno è più lieto di noi. E avete voluto le bande e le bande hanno
lavorato bene.” Queste attestazioni dimostrano perché il nostro Paese ha
evitato condizioni di pace simili a quelle imposte alla Germania e al Giappone.
Grazie ai Partigiani!
I Partigiani, nella nostra Regione, cominciano ad organizzarsi
nella seconda metà di settembre del 43, dopo che i tedeschi hanno occupato i
quattro capoluoghi di provincia scegliendo Macerata per insediarvi
l’amministrazione militare.
La maggiore concentrazione di Partigiani nella nostra zona
si ha nelle pendici del S. Vicino. A Jesi nascono i Gap, gruppi di azione patriottica e
non proletaria, come i terroristi degli anni settanta li ribattezzeranno,
infangandoli. I Partigiani e i Gap nelle Marche ebbero una certa consistenza se per combatterli i fascisti e i tedeschi
impiegarono più di diecimila uomini, fra cui quelli della divisione Hermann
Göring, corpo di elite specializzato nelle azioni anti guerriglia. Lo stesso
Mussolini giudicava pericolosissima la resistenza marchigiana perché rendeva
insicure le retrovie naziste e fasciste.
Lo studioso jesino Doriano Pela, nel suo
fondamentale lavoro attorno alla resistenza marchigiana pubblicato nel
Dizionario della Resistenza edito da Einaudi, descrive il partigianato marchigiano come più spontaneo che organizzato, individualista
e insofferente alla disciplina che il CLN, presieduto da Alessandro Bocconi, tentava
di imporre, in bilico fra un istinto combattivo, a volte con punte di
irresponsabilità e razionalità strategica ma
aggressivo da risultare pericoloso. Un partigianato generoso che, nel poco tempo che trascorre dal
settembre 43 al luglio del 44, mese della liberazione della Regione, non avrà
il tempo materiale per una compiuta maturazione politica come invece succederà
al nord dove la lotta durerà più a lungo.
Ma la combattività del movimento c’è ed è drammaticamente confermata dalle stragi che i nazisti attuano,
per rimanere nella nostra zona, tra il 29 e il 30 giugno del 44: 6 morti in
Apiro, 7 a Staffolo, tre a Cingoli e dieci a Filottrano. E il 20 di giugno a
Jesi c’era stato l’eccidio di Montecappone. E i primi di maggio in Arcevia
erano stati trucidati 63 cittadini.
Le stragi naziste erano già iniziate al Sud e mano a mano
che risalivano la penisola le armate
tedesche, spalleggiate dalle milizie fasciste, si lasciavano alle spalle
migliaia di morti. Civitella di val di Chiana, Sant’Anna di Stazzema,
Marzabotto, sono le tappe della marcia
della morte.
Documenti inoppugnabili dimostrano come il Maresciallo
Kesserling abbia concesso carta bianca ai reparti tedeschi. E in questa orrenda operazione i fascisti
della Repubblica di Salò furono non solo solerti collaboratori ma autentici
carnefici.
Ecco un aspetto che vorrei analizzare. Gli aderenti alla
Repubblica di Salò hanno sostenuto che
le loro scelte furono dettate dall’amor
patrio, dal rifiuto etico del tradimento perpetrato da Badoglio e dai
Partigiani. Da una parte leali patrioti
e dall’altra briganti al soldo dello straniero. Questa interpretazione ha
trovato comprensione se non condivisione
in quella parte dell’opinione pubblica della quale parlavo prima.
Ma le cose stanno proprio così? Dopo la nascita della Repubblica
di Salò le autorità naziste imposero alle truppe fasciste queste condizioni per
proseguire insieme la guerra: giuramento di fedeltà ad Hitler, accettazione di
ufficiali di collegamento tedeschi ed
inserimento delle truppe fasciste in unità di combattimento tedesche. Inoltre!
La
Repubblica di Salò consegnò alla Germania tutti i territori che l’Italia aveva
conquistato con la Prima Guerra mondiale, con seicento mila morti. Zona delle Prealpi
e zona dell’Adriatico, cosi si chiamavano il Friuli, la Venezia Giulia, il
Trentino, l’Alto Adige, la provincia di Belluno. Tutti sotto il comando di Governatori
tedeschi. Con un proclama del 10 novembre 1943 le truppe tedesche
individuano nella Carnia friulana la futura patria per i Cosacchi che avevano
deciso di arruolarsi sotto le insegne naziste : nell’estate del 44 a
Gemona, Venzone e Pontebba arrivarono 18
mila cosacchi che si distinsero per la
ferocia con la quale combatterono i partigiani. Inoltre! Alla fine dell’anno scolastico del 1944, a Bassano del
Grappa, i nazisti e i fascisti
costrinsero tutti gli studenti della cittadina a lasciare le scuole per recarsi
presso il viale della stazione: c’era uno spettacolo da ammirare: 31 impiccati,
appesi ai lecci.! Tra quegli studenti c’era una ragazza, di nome Tina Anselmi,
che voleva diventare maestra ma li
decise che non era il momento perché:” bisognava prima lottare contro il male,
sconfiggere il male”. Li decise di diventare partigiana, Tina Anselmi, perché
uno dei 31 era il fratello della sua compagna di banco alle Magistrali e la
ragazza, sconvolta, fissava il corpo del fratello e i fascisti ridevano! E
allora, chi erano i patrioti? Quelli che consegnavano i nostri ragazzi
renitenti alla leva di Salò ai tedeschi per essere internati nei campi di concentramento
in Germania? C’era chi giurava fedeltà
ad Hitler e massacrava i connazionali e c’ erano i nostri militari a Cefalonia
che prima di essere sterminati dai nazisti, gridavano viva l’Italia, viva il
Re! Dunque chi erano i patrioti? Se avessero vinto loro saremmo diventati servi
di Hitler in una provincia del terzo Reich! Hanno vinto i partigiani ed abbiamo
avuto settanta anni di democrazia e libertà. Con i Partigiani ha vinto l’Italia!
La nostra città, ha lottato contro il fascismo
prima della costituzione del regime, nel
lungo ventennio e durante la lotta di liberazione, nell’anno più lungo,
come lo definirà Giuseppe Luconi e cioè dal 25 luglio del 43 al giorno della
liberazione, il 20 luglio del 44.
Ci sono le spedizioni punitive dopo le elezioni del 1924
quando a Jesi, tra le poche città in Italia, non vinse il listone fascista. C’è
Giulio Latini, in via Roma, trucidato
nella sua bottega nel 1931, il 2 di maggio, perché il giorno prima, il 1°
maggio, aveva festeggiato senza chinare la testa come si usava fare in questa
città repubblicana di cuore. C’è don Battistoni
messo letteralmente alla gogna nel 1927 perché da sacerdote organizzava
il movimento dei contadini cattolici. Goffredo Rosini, uno dei fondatori a Jesi
del P.d.C.I., costretto alla fuga all’estero , l’anarchico Vittorio Civerchia,
ridotto nella colonia di Ventotene. E ci sono Primo Panti, Armando Magnani, Ivo
Pasquinelli, Eraclio Cappannini medaglia d’argento e autore di una struggente
lettera esposta nell’atrio del Comune e pubblicata nel libro” Lettere dei
condannati a morte della Resistenza” , Francesco Contuzzi, giovani finiti nel mattatoio assieme ai
militari delle battaglie di una guerra voluta dal fascismo. E i sette trucidati
di Montecappone: Luigi e Armando
Angeloni, Alfredo Santinelli, Francesco Cecchi, Mario Saveri e i due militari che dopo l’otto settembre
avevano trovato rifugio e ospitalità in Via Roma: Enzo Carboni e Calogero
Grasceffo: le pagine del libro di Nello Verdolini che descrivono l’evento sono
tra le più commoventi che abbia mai letto! E c’è la medaglia d’oro Libero Leonardi, il più anziano con i suoi 40 anni! Cesare
Anconetani, che segui la Divisione Cremona e morì a soli 18 anni nella
liberazione di Alfonsine di Romagna. Questi sono gli jesini condannati al
confino: Anconetani Alberto, Bigi Adelmo, Bozzi Francesco, Cirilli Giovanni,
Civerchia Vittorio, Felicetti Gettulio, Fulgenzi Vincenzo, Santarelli Telmo e
Zannoni Alfredo . Eraldo Cesaroni, oltre ad essere condannato per quattro anni
al confino nell’isola di Ponza, nel 39 subirà il processo e la condanna del
Tribunale Speciale per la difesa dello Stato a tre anni di reclusione. E non si
possono tralasciare i nomi di altri combattenti per la libertà come i comunisti
Augusto Bernacchia e Oscar Capecci, il repubblicano Guglielmo Brunori,
l’anarchico Attilio Santoni che collocherà il 21 Aprile del 31 una bandiera
rossa sul campanile del Duomo e Don Ezio Balestra che eviterà con coraggio la
distruzione dello stabilimento dello zuccherificio. Letteria Belardinelli, repubblicana,
che assieme a pochissimi insegnanti si rifiuterà di prendere la tessera del
fascio subendone dolorose conseguenze, le stesse sofferte dal Prof. Arnaldo
Bellagamba dirigente di movimenti cattolici e da Gaetano Conigli che sarà
sindaco socialista della nostra città. E Luciano Taglianini, giovanissimo
combattente e partigiano militante durante tutta la sua vita. Sono 130 i nostri
concittadini che, secondo i dati della Commissione Regionale per il riconoscimento
della qualifica di partigiano combattente , hanno dato in qualche modo il loro
contributo attivo alla lotta contro il nazi-fascismo. Tra questi, permettetemi di ricordarne due ai
quali ero particolarmente affezionato: Giustino Baioni, comunista, laureato
presso l’Ateneo di via Roma, diceva con ironia ed orgoglio di appartenenza ad
una comunità e assessore nella nostra
città e il Prof. William Bernardi, socialista, per anni apprezzato e stimato
Preside del nostro Liceo Classico.
Il 20 luglio Jesi è liberata e una classe dirigente giovane
ed antifascista inizia un lavoro immane per la rinascita, in una Italia democratica
e fiduciosa. I partiti democratici
scelgono Pacifico Carotti Sindaco . Insieme a lui lavorano altri autorevoli combattenti come il comunista
Pietro Contuzzi, l’azionista Alberto Borioni, futuro sindaco e il democratico
cristiano Alberto Pellegrini. E il 2
giugno del 46, nel Referendum istituzionale 16.102 jesine e jesini scelsero la
Repubblica. L’87,21%! Una delle percentuali più alte in Italia. Se si
vuole raccogliere quel che resta vivo nell’eredità della Resistenza, occorre
ripartire da qui. Dalla consapevolezza che Partigiano, per dirla con Fenoglio:
”è una parola tremenda oltreché splendida, perché partigiano come poeta è parola
assoluta, rigettante ogni gradualità.”
Ecco
chi erano i Partigiani! Giovani che in tempi tremendi, si trovarono ad
affrontare situazioni inimmaginabili per altre generazioni più fortunate,
rischiarono la vita, tanti la lasciarono che ancora non era sbocciata. Fecero anche errori ma ciò non può
offuscare il giudizio morale e politico sul valore della lotta partigiana, né
attenuare le responsabilità del fascismo per i venti anni di dittatura e per
aver condotto il paese, alleato con il nazismo, in una guerra disastrosa.
Li
ringrazieremo e li ricorderemo sempre con rispetto e gratitudine e con gli stessi
sentimenti ricorderemo il moderno partigiano Giulio Reggeni, che ha combattuto
ed è morto per la libertà in un paese lontano.
Mi
sia consentito terminare questa commemorazione affermando:
VIVA
LA RESISTENZA ,
VIVA
I PARTIGIANI,
VIVA
LA COSTITUZIONE
DEMOCRATICA ,
VIVA
LA REPUBBLICA ITALIANA.
Jesi, 25 Aprile 2016.