A mia nonna Leda, per questa memoria che mi ha profondamente toccato
Ci sono grandi storie e dietro a queste, talvolta, alcune più piccole e solo in apparenza meno significative. A volte mi chiedo quali pensieri accompagnarono Emilio nel cammino verso Moie, dove si stava recando per recuperare le spoglie del fratello di sua moglie, Libero Leonardi. Un percorso lento, un passo dietro l'altro, scandito dal cigolio della carriola, destinata a ricondurre a casa il corpo del cognato, malamente sepolto nei pressi del luogo del martirio. Dopo oltre 70 anni la primogenita di Emilio, mia nonna Leda, non ne parla volentieri. A quel tempo era solo una giovane sfollata, cui evitare eccessivi traumi, poiché prossima al parto. Suo padre, informato del triste epilogo successivo alla cattura, non poteva sapere dell'acqua bollente nelle scarpe, delle incisioni sulle vene, dei giorni costretto a starsene accucciato sotto un lavandino, né delle vuote orbite oculari. Qualcosa di più orribile della semplice morte, unica certezza alla base di quella pietosa missione. Che stato d'animo, quali pensieri? Forse fu la silenziosa rassegnazione di chi è uso alle tribolazioni ad accompagnarne il cammino, sino all'individuazione del luogo in cui scavare, con le sole mani sulla nuda terra che si infilava sotto le unghie. Ed ecco la terribile scoperta, il probabile sgomento e la fatica del ritorno, nella crescente afa di un giorno d'estate. L'inedito retroscena di una eroica vicenda, che riemerso dalle nebbie della memoria, ne restituisce un ulteriore drammatico tassello. Il racconto di un viaggio senza speranza, dettato da un affettuoso imperativo e consumato nella fatica e nel silenzio. Lo stesso che oggi si accompagna ad altre peregrinazioni, non meno terribili e ben più lunghe, diverse nelle cause ma ugualmente gravide di tanti pensieri. Talvolta, solo di rado, illuminati dalla speranza.
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