mercoledì 27 aprile 2016

Orazione di Ero Giuliodori del 25 Aprile 2016

                                                     CELEBRAZIONE 25 APRILE 2016
                                                                                       JESI
Signor Sindaco; autorità civili, militari e religiose; associazioni d’arma,  combattentistiche e partigiane; amici e compagni antifascisti di Jesi.
Che cosa è il 25 Aprile del 1945? A Milano, la sera del 24 Aprile del 1945, il Cardinale Ildefonso Schuster , rivolge una drammatica domanda a Sandro Pertini, componente del CLNAL : “ Sono il Vescovo di questa città, che cosa succederà domani?” Questa è la risposta del futuro settimo Presidente della Repubblica:” Eminenza, l’orologio della Storia si è messo in movimento!” Se pensiamo che solo qualche ora dopo, a Genova, un Generale nazista,  Meinhold,  si arrenderà all’operaio Remo Scappini,  comandante del CNL di Genova, capiamo che davvero l’orologio della Storia quel giorno si era messo in movimento.
Eppure, a distanza di 71 anni, non tutti considerano una festa questa giornata.  Anzi,come un fiume carsico ogni tanto ritorna alla superficie della discussione politica più che storica una banalizzazione, se non una vera avversione attorno alla Resistenza e  ai suoi protagonisti. Politica più che storica  ma  B. Croce ci  ricorda che “la storia in Italia è sempre contemporanea“,  è un’ arma cioè  per la battaglia politica . E l’obbiettivo di una parte della politica, da decenni, è la Resistenza e le conquiste democratiche e sociali  figlie della stessa.
 Delegittimare  la Resistenza vuol  dire innanzitutto delegittimare  il patto costitutivo nazionale  tra le grandi componenti storiche ed ideali del Paese: la liberale democratica e risorgimentale, il movimento cattolico popolare e il movimento operaio e socialista perché ciò ha permesso al popolo italiano  di essere, per una volta, protagonista del proprio destino .  E senza quel protagonismo e senza  la Costituzione non avremmo avuto un Paese civile e democratico che ha permesso  una scuola e una sanità pubbliche per tutti, che  ha aperto il cammino delle donne verso la piena emancipazione, altrimenti  molto più faticoso di quanto lo è stato  e ancora lo è, che negli anni 60 e 70 ha dato vita ad una legislazione sociale per affermare la dignità e i diritti personali e sindacali nei luoghi di lavoro perché i diritti non si fermano, non possono fermarsi,  davanti ai cancelli delle fabbriche!  Una Costituzione che ha permesso alle autonomie locali di essere il luogo della partecipazione  e delle decisioni.  Norberto Bobbio nel 1951, quando sembrava che la guerra fredda minacciasse la tenuta del cosi detto arco costituzionale,  sosteneva che la nostra Costituzione, nel suo ordito giuridico ed istituzionale,  è un “invito permanente al colloquio tra le varie componenti che avevano dato il loro contributo alla redazione ed alla approvazione della Costituzione Repubblicana.”  Un ordito istituzionale che valorizza i partiti politici e il loro confronto , che individua nel Parlamento l’unico luogo dove si rispecchia la volontà popolare,  che riconosce i diritti fondamentali delle minoranze ed anzi ne richiede il fattivo coinvolgimento  quando si debbono comporre o eleggere organi  a tutela dei i valori fondanti  la nostra democratica convivenza come la Corte Costituzionale e il Presidente della Repubblica.   
Dobbiamo contrastare una lettura riduttiva della Resistenza non solo per riportare la verità storica e ciò già basterebbe ma per difendere un Paese civile, democratico, solidale e socialmente avanzato che le generazioni passate e governi e politici  avveduti hanno costruito con impegno, lotte e sacrifici.
 Ovviamente mi astengo da qualsiasi considerazione  riguardante il contenuto della riforma costituzionale approvata recentemente dal Parlamento ed in attesa del Referendum confermativo del prossimo ottobre. Ho letto il testo approvato e  ho  ripensato  al Presidente dell’Assemblea Costituente Umberto Terracini  il quale, sensibile alle critiche  avanzate da più parti sulla qualità letteraria del testo della Costituzione repubblicana, incaricò Pietro Pancrazi, liberale ma soprattutto studioso della lingua italiana e Concetto Marchesi, comunista ma soprattutto accademico e latinista, di rileggersi gli articoli uno ad uno. Il risultato, secondo Tullio de Mauro, è che quel testo è un monumento in termini di chiarezza e di sobrietà. Chiarezza e la sobrietà sono qualità espositive da non rottamare!   
Permane, nella società,   una componente culturale che fa da argine alla piena accettazione della lotta partigiana. Non per niente Piero Gobetti, intellettuale liberale aperto alle nuove sfide della società del suo tempo e che chissà quali contributi avrebbe potuto fornire alla cultura italiana se i fascisti non lo avessero ucciso a soli 25 anni nel 1926, sosterrà che il fascismo è” l’autobiografia di noi italiani.” E qualche anno dopo, un arguto uomo di lettere e di cinema come Ennio Flaiano in un amarissimo aforisma affermerà che “in Italia i fascisti sono una trascurabile maggioranza!”
C’è un substrato culturale che rimanda alla storia della nostra classe dirigente dove l’istinto di conservazione,  la grettezza di un familismo da sempre dominante, l’individualismo in nome del quale si giustifica persino il non rispetto delle regole, si uniscono  a continue pulsioni autoritarie e al fastidio per le mediazioni democratiche e parlamentari. Per questo mondo  la Resistenza è una anomalia, perché  segna nella storia d’Italia una discontinuità analoga a quella del Risorgimento, altro avvenimento da sempre discusso e non condiviso. Solamente con Garibaldi migliaia di italiani erano accorsi alle armi senza imposizioni.  Entrambi, il Risorgimento e la Resistenza, suggellano il tentativo di promuovere un mutamento non solo nella forma ma soprattutto nella sostanza delle istituzioni con la creazione di uno Stato pienamente democratico .
Infatti lo scrittore Beppe Fenoglio, combattente partigiano monarchico, dirà che la ” Resistenza è un’esperienza assoluta per il popolo italiano come quasi mai è successo prima”. Il peccato originale della Resistenza sta nell’aver messo gli italiani di fronte alle proprie responsabilità , dimostrando quanto sia pericoloso affidarsi sempre a qualcun altro, sia esso un uomo forte o un esercito straniero che tanto, prima a poi, ci libererà;  un campione dell’italianità corriva e qualunquista, l’opinionista Guglielmo Giannini, negli stessi giorni nei quali migliaia di italiani combattevano e morivano nel centro-nord  per la libertà di tutti, in una Roma oramai liberata ma dove in tanti temevano di subire ritorsioni per il loro passato fascista o troppo acquiescente verso il regime,  se ne usciva con queste parole” … noi vogliamo vivere tranquilli, non vogliamo agitarci permanentemente: vogliamo andare a teatro, uscire la sera, comprare sigarette, recarci in villeggiatura e comprarci un abito nuovo”.  E’ anche con questa Italia che la Resistenza si è confrontata .
Erano gli stessi che dicevano ed ancora dicono che il ruolo della Resistenza è stato marginale e gli alleati la guerra l’avrebbero vinta ugualmente. La Resistenza italiana, dati alla mano, è [1]stata seconda solo a quella jugoslava. Aveva limiti, ha compiuto  errori ma dal febbraio del 44 all’aprile del 45 ha occupato quasi tutte le valli alpine e le zone collinari dell’Italia centrale e settentrionale. Non furono i Partigiani a decidere le sorti della guerra ma la loro presenza crescente impegnò quattro divisioni tedesche e creò insicurezza tra gli occupanti. Una strofa di una canzone dei fascisti di Salò recita:” le donne non ci vogliono più bene perché portiamo la camicia nera.” Questa accettazione da parte dei fascisti di una causa persa dimostra come la Resistenza avesse quel consenso popolare che è stato decisivo per la sua diffusione e il suo successo. Gli scioperi operai del Marzo del 43 e del Marzo del 44, i primi scioperi nell’Europa nazista, l’attività dei partiti antifascisti dopo la caduta del regime nel luglio del 43, la formazione delle prime bande partigiane e la nascita del Comitato di Liberazione nazionale,  la costituzione di un nuovo esercito nazionale hanno permesso al nostro Paese di riacquistare dignità. Il nostro  popolo aveva sollevato la testa , voleva essere attore del proprio destino  Nell’ agosto del 44, uno dei massimi dirigenti del SOE, l’organizzazione creata da Churchill per sabotare le linee tedesche, scriverà al comandate Maurizio, il futuro Presidente del Consiglio Ferruccio Parri : ” L’Italia ha subito il fascismo. Va bene.  Sappiamo benissimo quanto ci è costato in uomini e in sforzi l’entrata in guerra dell’Italia. Adesso avete avuto la possibilità di ritrovarvi accanto a quelli a cui l’Italia ha causato cosi gravi danni. Nessuno è più lieto di noi. E avete voluto le bande e le bande hanno lavorato bene.” Queste attestazioni dimostrano perché il nostro Paese ha evitato condizioni di pace simili a quelle imposte alla Germania e al Giappone. Grazie ai Partigiani!
I Partigiani, nella nostra Regione, cominciano ad organizzarsi nella seconda metà di settembre del 43, dopo che i tedeschi hanno occupato i quattro capoluoghi di provincia  scegliendo Macerata per insediarvi l’amministrazione militare.
La maggiore concentrazione di Partigiani nella nostra zona si ha nelle pendici del S. Vicino. A Jesi  nascono i Gap, gruppi di azione patriottica e non proletaria, come i terroristi degli anni settanta li ribattezzeranno, infangandoli. I Partigiani e i Gap nelle Marche ebbero  una certa consistenza  se per combatterli i fascisti e i tedeschi impiegarono più di diecimila uomini, fra cui quelli della divisione Hermann Göring, corpo di elite specializzato nelle azioni anti guerriglia. Lo stesso Mussolini giudicava pericolosissima la resistenza marchigiana perché rendeva insicure le retrovie naziste e fasciste.
  Lo studioso jesino Doriano Pela, nel suo fondamentale lavoro attorno alla resistenza marchigiana pubblicato nel Dizionario della Resistenza edito da Einaudi, descrive il  partigianato marchigiano come  più spontaneo che organizzato, individualista e insofferente alla disciplina che il CLN, presieduto da Alessandro Bocconi, tentava di imporre, in bilico fra un istinto combattivo, a volte con punte di irresponsabilità e razionalità strategica ma  aggressivo da risultare pericoloso. Un partigianato generoso  che, nel poco tempo che trascorre dal settembre 43 al luglio del 44, mese della liberazione della Regione, non avrà il tempo materiale per una compiuta maturazione politica come invece succederà al nord dove la lotta durerà più a lungo.
Ma la combattività del movimento c’è ed è drammaticamente  confermata dalle stragi che i nazisti attuano, per rimanere nella nostra zona, tra il 29 e il 30 giugno del 44: 6 morti in Apiro, 7 a Staffolo, tre a Cingoli e dieci a Filottrano. E il 20 di giugno a Jesi c’era stato l’eccidio di Montecappone. E i primi di maggio in Arcevia erano stati trucidati 63 cittadini.
Le stragi naziste erano già iniziate al Sud e mano a mano che risalivano la penisola  le armate tedesche, spalleggiate dalle milizie fasciste, si lasciavano alle spalle migliaia di morti. Civitella di val di Chiana, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, sono  le tappe della marcia della morte.
Documenti inoppugnabili dimostrano come il Maresciallo Kesserling abbia concesso carta bianca ai reparti tedeschi.  E in questa orrenda operazione i fascisti della Repubblica di Salò furono non solo solerti collaboratori ma autentici carnefici.
Ecco un aspetto che vorrei analizzare. Gli aderenti alla Repubblica di Salò hanno  sostenuto che le loro scelte furono dettate  dall’amor patrio, dal rifiuto etico del tradimento perpetrato da Badoglio e dai Partigiani. Da una parte  leali patrioti e dall’altra briganti al soldo dello straniero. Questa interpretazione ha trovato  comprensione se non condivisione in quella parte dell’opinione pubblica della quale parlavo prima.
Ma le cose stanno proprio così? Dopo la nascita della Repubblica di Salò le autorità naziste imposero alle truppe fasciste queste condizioni per proseguire insieme la guerra: giuramento di fedeltà ad Hitler, accettazione di ufficiali di collegamento tedeschi  ed inserimento delle truppe fasciste in unità di combattimento tedesche. Inoltre!
La Repubblica di Salò consegnò alla Germania tutti i territori che l’Italia aveva conquistato con la Prima Guerra mondiale, con seicento mila morti. Zona delle Prealpi e zona dell’Adriatico, cosi si chiamavano il Friuli, la Venezia Giulia, il Trentino, l’Alto Adige, la provincia di Belluno. Tutti sotto il comando di Governatori tedeschi.  Con un proclama del  10 novembre 1943 le truppe tedesche individuano nella Carnia friulana la futura patria per i Cosacchi che avevano deciso di arruolarsi sotto le insegne naziste : nell’estate del 44 a Gemona,  Venzone e Pontebba arrivarono 18 mila cosacchi che  si distinsero per la ferocia con la quale combatterono i partigiani. Inoltre!  Alla fine dell’anno scolastico del 1944, a Bassano del Grappa,  i nazisti e i fascisti costrinsero tutti gli studenti della cittadina a lasciare le scuole per recarsi presso il viale della stazione: c’era uno spettacolo da ammirare: 31 impiccati, appesi ai lecci.! Tra quegli studenti c’era una ragazza, di nome Tina Anselmi, che voleva diventare maestra  ma li decise che non era il momento perché:” bisognava prima lottare contro il male, sconfiggere il male”. Li decise di diventare partigiana, Tina Anselmi, perché uno dei 31 era il fratello della sua compagna di banco alle Magistrali e la ragazza, sconvolta, fissava il corpo del fratello e i fascisti ridevano! E allora, chi erano i patrioti? Quelli che consegnavano i nostri ragazzi renitenti alla leva di Salò ai tedeschi per essere internati nei campi di concentramento in Germania?  C’era chi giurava fedeltà ad Hitler e massacrava i connazionali e c’ erano i nostri militari a Cefalonia che prima di essere sterminati dai nazisti, gridavano viva l’Italia, viva il Re! Dunque chi erano i patrioti? Se avessero vinto loro saremmo diventati servi di Hitler in una provincia del terzo Reich! Hanno vinto i partigiani ed abbiamo avuto settanta anni di democrazia e libertà. Con i Partigiani ha vinto l’Italia!
 La nostra città, ha lottato contro il fascismo prima della costituzione del regime, nel  lungo ventennio e durante la lotta di liberazione, nell’anno più lungo, come lo definirà Giuseppe Luconi e cioè dal 25 luglio del 43 al giorno della liberazione, il 20 luglio del 44.
Ci sono le spedizioni punitive dopo le elezioni del 1924 quando a Jesi, tra le poche città in Italia, non vinse il listone fascista. C’è  Giulio Latini, in via Roma, trucidato nella sua bottega nel 1931, il 2 di maggio, perché il giorno prima, il 1° maggio, aveva festeggiato senza chinare la testa come si usava fare in questa città repubblicana di cuore. C’è don Battistoni  messo letteralmente alla gogna nel 1927 perché da sacerdote organizzava il movimento dei contadini cattolici. Goffredo Rosini, uno dei fondatori a Jesi del P.d.C.I., costretto alla fuga all’estero , l’anarchico Vittorio Civerchia, ridotto nella colonia di Ventotene. E ci sono Primo Panti, Armando Magnani, Ivo Pasquinelli, Eraclio Cappannini medaglia d’argento e autore di una struggente lettera esposta nell’atrio del Comune e pubblicata nel libro” Lettere dei condannati a morte della Resistenza” , Francesco Contuzzi,  giovani finiti nel mattatoio assieme ai militari delle battaglie di una guerra voluta dal fascismo. E i sette trucidati di Montecappone: Luigi e Armando  Angeloni, Alfredo Santinelli, Francesco Cecchi, Mario Saveri  e i due militari che dopo l’otto settembre avevano trovato rifugio e ospitalità in Via Roma: Enzo Carboni e Calogero Grasceffo: le pagine del libro di Nello Verdolini che descrivono l’evento sono tra le più commoventi che abbia mai letto!  E c’è la medaglia d’oro Libero Leonardi,  il più anziano con i suoi 40 anni! Cesare Anconetani, che segui la Divisione Cremona e morì a soli 18 anni nella liberazione di Alfonsine di Romagna. Questi sono gli jesini condannati al confino: Anconetani Alberto, Bigi Adelmo, Bozzi Francesco, Cirilli Giovanni, Civerchia Vittorio, Felicetti Gettulio, Fulgenzi Vincenzo, Santarelli Telmo e Zannoni Alfredo . Eraldo Cesaroni, oltre ad essere condannato per quattro anni al confino nell’isola di Ponza, nel 39 subirà il processo e la condanna del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato a tre anni di reclusione. E non si possono tralasciare i nomi di altri combattenti per la libertà come i comunisti Augusto Bernacchia e Oscar Capecci, il repubblicano Guglielmo Brunori, l’anarchico Attilio Santoni che collocherà il 21 Aprile del 31 una bandiera rossa sul campanile del Duomo e Don Ezio Balestra che eviterà con coraggio la distruzione dello stabilimento dello zuccherificio. Letteria Belardinelli, repubblicana, che assieme a pochissimi insegnanti si rifiuterà di prendere la tessera del fascio subendone dolorose conseguenze, le stesse sofferte dal Prof. Arnaldo Bellagamba dirigente di movimenti cattolici e da Gaetano Conigli che sarà sindaco socialista della nostra città. E Luciano Taglianini, giovanissimo combattente e partigiano militante durante tutta la sua vita. Sono 130 i nostri concittadini che, secondo i dati della Commissione Regionale per il riconoscimento della qualifica di partigiano combattente , hanno dato in qualche modo il loro contributo attivo alla lotta contro il nazi-fascismo.  Tra questi, permettetemi di ricordarne due ai quali ero particolarmente affezionato: Giustino Baioni, comunista, laureato presso l’Ateneo di via Roma, diceva con ironia ed orgoglio di appartenenza ad una comunità  e assessore nella nostra città e il Prof. William Bernardi, socialista, per anni apprezzato e stimato Preside del nostro Liceo Classico.
Il 20 luglio Jesi è liberata e una classe dirigente giovane ed antifascista inizia un lavoro immane per la rinascita, in una Italia democratica e fiduciosa.  I partiti democratici scelgono Pacifico Carotti Sindaco .  Insieme a lui lavorano  altri autorevoli combattenti come il comunista Pietro Contuzzi, l’azionista Alberto Borioni, futuro sindaco e il democratico cristiano Alberto Pellegrini.  E il 2 giugno del 46, nel Referendum istituzionale 16.102 jesine e jesini scelsero la Repubblica. L’87,21%! Una delle percentuali più alte in Italia.    Se si vuole raccogliere quel che resta vivo nell’eredità della Resistenza, occorre ripartire da qui. Dalla consapevolezza che Partigiano, per dirla con Fenoglio: ”è una parola tremenda oltreché splendida, perché partigiano come poeta è parola assoluta, rigettante ogni gradualità.”
Ecco chi erano i Partigiani! Giovani che in tempi tremendi, si trovarono ad affrontare situazioni inimmaginabili per altre generazioni più fortunate, rischiarono la vita, tanti la lasciarono che ancora non era  sbocciata. Fecero anche errori ma ciò non può offuscare il giudizio morale e politico sul valore della lotta partigiana, né attenuare le responsabilità del fascismo per i venti anni di dittatura e per aver condotto il paese, alleato con il nazismo, in una guerra disastrosa.
Li ringrazieremo e li ricorderemo sempre con rispetto e gratitudine e con gli stessi sentimenti ricorderemo il moderno partigiano Giulio Reggeni, che ha combattuto ed è morto per la libertà in un paese lontano.
Mi sia consentito terminare questa commemorazione affermando:

VIVA LA RESISTENZA,

VIVA I PARTIGIANI,

VIVA LA COSTITUZIONE DEMOCRATICA,

VIVA LA REPUBBLICA ITALIANA.
Jesi, 25 Aprile 2016.



[1]

Nessun commento:

Posta un commento