venerdì 28 febbraio 2014

Quando un muro significa libertà


1 commento:

  1. Nel 2013 in occasione del 40° anniversario del colpo di stato cileno del gen. Pinochet che pose fine al governo democratico di Salvador Allende, l’Istituto Gramsci Marche, sezione di Jesi, l’Anpi, l’Arci e il Comune di Jesi, assessorato alla cultura, hanno dato vita ad una serie di iniziative per ricordare l’evento e in modo particolare per valorizzare i murales cileni di Largo Salvador Allende.
    Come si ricorderà tali murales furono realizzati da giovani cileni esuli su invito della amministrazione comunale di quel periodo. Il ricordo e la valorizzazione di quello che ormai è un patrimonio storico artistico della città di Jesi ha dato vita ad una iniziativa, promossa sempre dagli stessi enti organizzatori, che ha coinvolto le scuole superiori jesine invitate a realizzare progetti, in assoluta autonomia e libertà, che avessero come argomento i temi della libertà, dei diritti, della democrazia e dell’accoglienza.

    Docenti e studenti del Liceo scientifico “L. da Vinci”, dell’Istituto di Studi Superiori “G. Galilei”, del Liceo Artistico “E. Mannucci”, dell’Istituto Tecnico Commerciale e per geometri “P. Cuppari”, dell’Istituto Tecnico Industriale “G. Marconi” si sono messi al lavoro e le loro fatiche avranno degna cornice nella mostra che si aprirà l’8 marzo 2014 presso il Palazzo dei Convegni di Corso Matteotti e che resterà aperta fino a sabato 15 marzo.
    In questa ultima giornata le classi che hanno lavorato al progetto incontreranno a partire dalle 10,30 al Teatro Valeria Moriconi due testimoni di quei tragici eventi del 1973: Enrico Calamai, ai tempi diplomatico in servizio presso l’ambasciata italiana di Santiago, e Carlos Viveros, uno degli autori dei murales (di questi si riportano alcune note biografiche).

    Enrico Calamai, nato a Roma nel 1945, entra nella carriera diplomatica. Nel 1972, a 27 anni, è vice console in Argentina. Inviato in Cile dopo il colpo di stato di Pinochet, riesce a trasferire in Italia 412 cileni (Tra i quali 50 bambini) che si erano rifugiati nella ambasciata italiana. Tornato in Argentina mette in salvo e fa espatriare centinaia di oppositori alla dittatura militare di quel Paese. Nel 2000, in Italia, testimonia nei procedimenti penali contro otto militari argentini responsabili della morte di cittadini italiani. Ha narrato le sue esperienze nel volume: “Niente asilo politico”.

    Carlos Viveros, nato a Santiago del Cile nel 1957, attivo nelle organizzazioni giovanili del Partito comunista cileno, a causa del colpo di stato dell’11 settembre 1973, lascia il suo Paese assieme alla sua famiglia. Il padre, esponente comunista funzionario nel governo Allende, e la madre, candidata comunista al Consiglio comunale, sono in grave pericolo. Dal Cile all’Argentina e di lì, in nave, dopo 16 giorni a Genova. Avrebbero dovuto proseguire per la Svizzera ma l’allora Partito Comunista Italiano offre loro l’opportunità di restare in Italia. Viene a Jesi, venticinquenne, per realizzare i murales; al disegno iniziale collaborano il cugino Luis Sanchez e l’amico Ricardo Figueroa. Con quest’ultimo realizza l’opera assieme ad un altro ragazzo di cui si ricorda, purtroppo, solo il nome: Francisco. Carlos Viveros vive e lavora a Campi Bisenzio vicino Firenze.

    RispondiElimina