lunedì 20 ottobre 2014

BANDIERA ROSSA SUL CAMPANILE

Venerdì 24 ottobre, alle ore 17.30, presso la Sala Maggiore del Palazzo della Signoria, verrà presentato il libro: “Bandiera rossa sul campanile. Antifascisti (e fascisti) a Jesi” , autori Aroldo Cascia e Patrizia Rosini, edito da “affinità elettive”.
L’iniziativa è stata promossa dall’Istituto Gramsci Marche, dall’Anpi di Jesi, dall’Istituto Storia Marche e gode del Patrocinio del Comune di Jesi, Assessorato alla cultura.
Aroldo Cascia, professore di geografia generale ed economica, è stato sindaco di Jesi dal 1975 al 1983, poi senatore dal 1983 al 1992 nelle liste del PCI, ha diretto negli anni sessanta il periodico “Il Dialogo”. E’ coautore di Storie di Jesi sovversiva e di Dignità conquistata, da contadini ad agricoltori nelle Marche.
Patrizia Rosini, docente di materie letterarie nelle scuole superiori di Jesi, è sindaco di Staffolo. E’ coautrice di L’altra guerra. Le memorie di Kruger Berti.
Del volume parleranno Amoreno Martellini, docente di Storia presso l’Università di Urbino e Direttore dell’Istituto di Storia Marche, e Roberto Petrini, giornalista de La Repubblica.
Il titolo del saggio prende spunto da un episodio del 21 aprile 1931 (Natale di Roma) quando l’anarchico  Attilio Santoni, assieme adAlberico Sabatini e Bruno Renzi, nottetempo salì sul campanile del Duomo ed issò una bandiera rossa con la scritta: “viva la Spagna-risvegliamoci”. In Spagna, nelle elezioni del 12 aprile 1931, avevano vinto i repubblicani, era stato allontanato il re e proclamata la repubblica.
Il lavoro di Cascia e Rosini riprende la storia cittadina là dove “Storie di Jesi sovversiva” (Aroldo Cascia/Pietro Fanesi, Il lavoro editoriale, 1955) si era fermato, cioè all’avvento del fascismo. Il libro riannoda il corso degli eventi e racconta le vicende vissute da tutti coloro, anarchici, repubblicani, socialisti, comunisti, cattolici che, a Jesi, si opposero durante il ventennio al potere del regime mussoliniano cercando di mantenere viva la fiducia nella riconquista delle libertà democratiche andate perdute durante la dittatura.Sullo sfondo della ricerca emergono anche, come del resto recita il titolo, anche figure di fascisti che hanno avuto un ruolo importante nella vita cittadina.
Contrariamente a quanto avvenuto nella maggior parte d’Italia, nelle elezioni del 1924, il fascismo a Jesi subì una cocente sconfitta,più di trecento jesini, tra gli anni venti e trenta, furono schedati dalla polizia fascista nel “casellario giudiziario centrale” a Roma (molti di più aggiungendo ad essi quelli schedati solo negli elenchi della questura). Tutto questo testimonia l’ampiezza di una opposizione che però incontrava molti ostacoli ad agire sul piano concreto in anni in cui il fascismo godeva di un ampio consenso tra le masse.
Il volume di Cascia e Rosini, ricco di  personaggi e di vicende,oltre a ricostruire un periodo importante di storia jesina, mette  a fuoco anche le difficoltà da parte di coloro che si opponevano,  pur numerosi, a trovare la forza e il coagulo necessari per lottare efficacemente contro un potere nel suo momento di massimo vigore.
Gli autori di questo volume non dimenticano mai da che parte stare, – scrive nella Prefazione al libro lo storico Massimo Papini – ma lo fanno da storici e non da tifosi, ben sapendo che ogni avvenimento, ogni personaggio, deve passare la verifica storica e questa deve essere onesta fino in fondo. Ben sapendo, in fin dei conti, che è proprio nel dna dell’antifascismo il rispetto della verità. Solo allora lo storico può procedere nel suo lavoro e scoprire che l’antifascismo, prima di essere un valore, o proprio per diventare tale, è stato il percorso umano di donne e uomini che hanno vissuto sulla loro pelle il travaglio di chi non accettava le regole di un sistema totalitario, negatore delle libertà fondamentali. Forse solo attraverso la ricostruzione delle loro esperienze, individuali e poi collettive, si arriva a percepire il valore storico dell’antifascismo e la sua attualità”.

In appendice al volume sono riportati i nomi di tutti gli jesini che la polizia fascista schedò nel “casellario giudiziario centrale di Roma”.

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